Caffè letterari

Da qualche anno mi sto inventando diverse forme di comunicazione per fare cultura. Per comunicare valori e sentimenti, per trasmettere emozioni, per invitare i timidi ad aprire quel cassetto segreto in cui hanno deposto come in una bara le bella pagine scritte in adolescenza, quando le ragazze scrivevano in un diario munito di lucchetto le loro prime emozioni d’amore, le loro cose segrete, che dovevano restare segrete soprattutto alle sorelle maggiori, ai fratelli gelosi e soprattutto alla mamma!!!

Questo progetto, che si rinnova di volta in volta, mi sta riuscendo talmente bene che ve ne vorrei parlare. A ben pensare gli incontri si stanno svolgendo da qualche anno, e la location cambia di volta in volta, in quanto gli amici poeti e scrittori invitati da me e restando colpiti dai lusinghieri risultati, hanno sempre desiderato che avrebbero avuto piacere ricambiare l’ospitalità presso le loro case, dentro i loro luminosi salotti. E così sta avvenendo, con mia somma gioia. Non ci sono manifesti, non ci sono autorità che presiedono e hanno diritto ad intervenire, come succede nelle serata culturali “ufficiali”.

Ci sentiamo tutti a nostro agio, tra anime che hanno tanto in comune e che, come vasi comunicanti, si scambiano le proprie emozioni, leggono pagine scelte e che amano leggere agli ospiti, perchè quella pagina scelta, quale significato sottende.

Dopo essere stati accolti amabilmente dalla padrona di casa, e fatte le presentazioni dei nuovi amici, la regia degli incontri tocca a me. E’ un privilegio che mi spetta di diritto che mi viene riconosciuto amabilmente da tutti. Bontà loro. Non manca mai la nota musicale, Brani scelti da suonare al pianoforte, la voce di un’amica soprano che ci trasporta in paradiso, una canzone da cantare insieme a chiusura di tutto, prima di gustare un buon caffè, prima di scambiarci l’ultimo sorriso.

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Cantare la mia terra

RECENSIONI

Non come critico d’arte, giacchè non lo sono, ma come appassionato cultore di poesia ardisco presentare l’autrice di questa raccolta di liriche intitolata “Alle sorgenti del cuore” che segue a distanza di un ventennio a quella di un altro sangiorgese, il professor Francesco D’Errico, il quale con “Sorrisi d’alba” ha per primo onorato il nostro paese. E’ stato detto, a ragione, che si può diventare oratori esercitandosi nella dialettica dell’eloquenza, ma che poeti si nasce, così come pittori, scultori, musicisti, per quel misterioso dono che madre natura si compiace di largire ai suoi prediletti.

Tra questi c’è Anna Marinelli, nata in San Giorgio Jonico il 7 Agosto 1945, anno che vide la fine del più terrificante conflitto mondiale. Trascorsa tranquillamente la fanciullezza nel tempietto degli affetti familiari, segnatamente quello della e per la sua mamma, per cause indipendenti dalla sua volontà, dovette abbandonare gli studi e, divenuta giovanetta, cominciò a sentire i primi fermenti della poesia, che sino ad allora era rimasta nel suo bocciolo. I primi versi meravigliarono anche lei stessa e la turbarono suscitando però un’intima gioia nel suo cuore.

La rosa era sbocciata, in tutto lo splendore del suo fascino. Più per cimentarsi con se stessa, ha partecipato a numerosi concorsi di poesia, nei quali ha ottenuto notevoli riconoscimenti e numerosissimi premi. Intanto, consapevole dell’incompletezza della sua cultura, facendo leva sulla notevole intelligenza, ha colmato tale lacuna conseguendo il diploma di maestra d’asilo. Ho avuto il piacere di conoscerla per caso nella libreria della distinta signora Maria Festa, che mi aveva già parlato di lei e del suo talento. Da quel tempo sono trascorsi cinque anni, durante i quali ho letto tutte le sue poesie, ho avuto diverse conversazioni con lei, e un notevole scambio di lettere. Questo mi ha dato la possibilità di rendermi conto dello spirito e della personalità di Anna; ho scoperto la sua straordinaria sensibilità, la squisita bontà, una dolcezza pensosa, talvolta soffusa di malinconia; i suoi stupori al cospetto delle meraviglie dell’universo, le vibrazioni del suo essere delicato: tutte doti elette, che si manifestano prendendo corpo nelle incantate e incantevoli liriche, limpide e splendenti come diamanti attraversati da una luce ancestrale, come quella del primo giorno della nostra realtà umana. Dalla loro attenta lettura, si coglie l’immenso amore che Anna nutre per il paese natìo, e per i compaesani, segnatamente per chi porta ancora impressi nella carne e nello spirito i segni della sofferenza e della rassegnata pazienza; per chi grida senza parlare il bisogno di affetto, di solidarietà, di conforto, di comprensione. Talvolta, durante qualche colloquio avuto con lei in merito, alle brutture di questa società tanto avanzata industrialmente e tecnologicamente, quanto arretrata dal punto di vista umano, schiva comè della cupidigia di ricchezza e di potere, le ho visto gli occhi di colomba sul punto di cedere alla commozione. Per lei ogni fenomeno oggettivo non è solo uno spettacolo che colpisce i sensi determinando ammirazione, o stupore, o paura, secondo i casi; ma è un messaggio che ella accoglie nel suo profondo, dove esso, permeato dal suo fluido inconscio, per una sorta di superconcezioni spirituale, viene trasformato in fiore di poesia, in lirica iridescente. I versi di Anna Marinelli non sono, almeno per me, classificabili mediante una definizione arida, anche se forbita: si può solo affermare che ella non è una poetessa di maniera, ma di primo getto, pura come acqua sgorgata da limpidissima sorgente.

Un ricordo d’infanzia, l’incanto di un primo pomeriggio estivo nella penombra silente trafitta da una lama di luce, la fioritura di un mandorlo, di un pesco, un frullare di ali, i profumi portati dal vento, un viso di bimbo, l’incerto andare di un vecchio, il canto lontano di un gallo, la percezione di uno sciacquio d’onda, la violenza di una tempesta: tutto si trasforma in lei in un canto poetico. Ha scritto centinaia di liriche, ha partecipato a numerosi concorsi di poesia nazionale, nei quali ha ottenuto consensi, lusinghieri apprezzamenti e significativi premi, fino a conseguire il primo nel 1987 con “Temporale d’Agosto” nel concorso di poesia inedita organizzato dal gruppo letterario “Casa Nostra” in quel di Cecina, Livorno.

Mi arreca gioia e piacere accennare qui ad alcune tra le più significative liriche di Anna Marinelli, tracciando di esse un’incastico commento estetico, mi si scusi la presunzione senza tuttavia neanche sfiorare l’idea della critica letteraria, ma così: alla buona, come mi detta dentro e con l’intento di eseguire un più dettagliato ritratto dell’autrice di questa raccolta. Comincio con la lirica “Quel giorno”. In essa l’autrice svela un palpitante anelito per l’infinito che stando sul San Bernardo, vorrebbe toccare con le mani tese, e dove il vento la libera da tutte le paure; forse quelle da lei recepite nel grembo materno, negli orridi anni dell’immane conflitto mondiale: e si sente abitante di un altro pianeta immersa nell’incommensurabile.

Anche in una breve composizione Anna riesce a condensare concetti sublimi, come in “fossi come te”, rivolta alla luna, della quale invidia la freddezza, il distacco glaciale, l’indifferenza quasi irridente, che rimane insensibile anche a una coltellata di Sole, mente se lei fosse trafitta da uno sguardo, sanguinerebbe dal cuore. Ed eccoci a “Cantare la mia Terra” nella quale Anna leva quasi con durezza una vibrante protesta “…lasciatemi cantare i pregi della mia terra ferrigna, lasciatemi cantare i dolori della mia gente” ed esprime con versi di fuoco, pur scevri di sensi ostili, il suo rammarico contro il silenzio e l’indifferenza delle classi privilegiate nei riguardi degli umili, che ella presenta dignitosi, sereni, erti nel plasmato bronzo di uomini del sud. Qui l’amore per la gente semplice e degna assume toni di commovente esaltazione, espressi con accenti di energica compostezza. E che dire de “I vecchi del mio paese”?: dico solo che potrebbe ispirare un grande pittore, tanto viva e palpitante è la sua descrizione. “Seduti su panchine sverniciate, dipanando gomitoli di memorie” ella li contempla, rimane colpita dai loro “volti di pergamena” e una commozione filiale si desta in lei e si fa poesia.

Li vede deboli, ridiventati quasi bambini; e li conta, come scolari “ad uno ad uno, che non se ne perda nessuno”. Segue ora la lirica che le ha valso il primo premio: Temporale d’Agosto, nella quale, con un mirabile gioco di ritmi felici, di assonanze e di rime agili, che si sviluppa in una progressione armoniosa di movenze aggraziate, la nostra poetessa animizza le nubi, che gareggiano, si rincorrono, si scontrano, s’incendiano e brontolando si sciolgono infine in pioggia benefica che disseta la terra riarsa e cosparge di fresche gocciole iridescenti le erbe, le foglie, i fiori assetati, cui ridona vivezza di colori e vigore di linfe: ed ecco la Natura vestita di nuovo.

Cosimo Quaranta

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Commenti Poetici

Si è svolta nei giorni scorsi la venticinquesima edizione della Rassegna d’Arte visiva

Città di San Giorgio organizzata dall’Associazione culturale LINO AGNINI. 25 anni sono un traguardo di tutto rispetto per una Associazione Culturale, in quanto ne nascono tante ma nel volgere di alcuni anni non reggono più alla fatica e all’impegno che costa Organizzare Eventi.

Quest’anno, in occasione della festa patronale che ricorre il 23 Aprile, io e la mia amica poetessa Nunzia Piccinni, siamo state invitate dal presidente dell’Associazione signor Cataldo Piccoli a commentare con i nostri versi le opere partecipanti. Gli Artisti che vi hanno aderito sono stati 30, ognuno del quali ha presentato due opere. Una più bella dell’altra.

Una sera prima dell’inaugurazione (Vernissage) ci siamo recate presso la sede dell’Associazione per fotografare le opere e associare ad ognuna il nome dell’artista.

Sembrava tutto facile, le opere erano belle, non avevamo alcun dubbio sulla riuscita del nostro compito.

Il tempo però non giocava a nostro favore, avevamo solo una settimana. Dovevamo consegnare al più presto i nostri elaborati per essere stampate su pergamena e donate agli Artisti la sera conclusiva della Rassegna. La ND Elisa Silvatici, Socia onoraria e Critico d’Arte, ha fornito i commenti critici dei dipinti che sono stati letti dalle socie Giuseppina Meo e Ilenia Nocera. Il pianista Giuseppe Curci ha allietato la serata con coinvolgenti brani musicali.

P.S. Siamo state brave, io e Nunzia, abbiamo condensato in poesia la magia della pittura. Complimenti a noi e a tutti.

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Una Panchina vicina al mare

✓ Un giorno camminavo per le vie di Taranto e l’eco della poesia di Anna Marinelli mi accompagnava per le strade, come si accompagna un’amica a prendere un caffè.

La mia mente sorrideva e forse anche il mio volto, inconsapevolmente, la seguiva, come se io fossi realmente in compagnia di qualcuno con il quale scambiare parole d’affetto.

In questa piccola raccolta dal titolo Una panchina vicino al mare la poetessa mi raccontava una storia bellissima: lei mi parlava del suo profondo rapporto con questa città.

Tra le pieghe delle onde in movimento e la panchina statica di fronte al mare, nella mia conversazione immaginaria, c’era Taranto, una città, una storia, un amore: l’amore.

Le poesie che compongo questa breve raccolta sono dei gesti di affetto verso una città che si ama profondamente. Tutto intorno a me, nei miei pensieri, nella mia mente, e tra le righe, nelle parole di questa raccolta di versi, riecheggia Taranto.

Io sento il nome nascosto, celato come un segreto, io vedo Taranto e sento il profumo del mare, e odo il rumore del porto e vedo i gabbiani diventare delfini a cavalcare la millenaria storia di questa stupenda città.

E intanto Taras appare potente come un dio. Taras, amore nostalgico che non tornerà mai più, Taras, anelito verso l’infinito e attesa di un giorno in cui avverrà finalmente il ricongiungimento.

Così su questa panchina di fronte al mare passano gli anni e passano le stagioni: i papaveri fanno primavera, la pioggia violenta dell’estate, la pioggerella d’autunno, il vento d’ottobre si alternano nel vortice della vita.

E le ore del giorno inseguono quelle della notte e i pensieri danzano di fronte all’insonnia, al tormento che non è mai disperazione ma pura rassegnazione.

Ma la freschezza della penna di questa adolescente quasi ottantenne rompe senza indugio il tema della rassegnazione perché la signora Marinelli dimostra di avere negli occhi aperti quel sogno che le fa dire sempre Amore, avanti, avanti!

Ti voglio bene Anna

ø;

Emanuela D’Arpa

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Ninna-nanna di Brahms

Penso,
e ne sono convinta,
potrei impazzire
in questo silenzio
potrei perdermi
in questo spazio
di cattedrale
trapassata dalla luce.
grido forte
nel mutismo labiale,
chiamo tutti per nome.
parlo allo specchio
e mi rispondo
per pietà di me stessa
smarrita
nell’ingresso della casa,
amplissimo.
sfoglio l’album
dei mille volti
e dai mille nomi,
caleidoscopio
delle voci perdute.
“Potessero le mie mani
sfogliare la luna”
mentre intorno
è desertica pianura
e le voci del passato
sono tutte lontane.
dove siete bambini
dalle gaie risate.
chi vi canta ora
la serie dei numeri,
e la ninna-nanna di Brahms,
le sole capaci
di convincere il sonno
a dimorare nei vostri occhi.
lo stesso sonno
che ora diserta
i miei?
—————————
*Garcia Lorca

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L’Amor che move il sole

Il mio blog di recente stava reclamando vivacemente perchè non lo stavo curando più, lo aveva un pochino abbandonato, quella passione dei primi anni si stava, anzi, si era affievolita. Possibile che non stavo facendo più niente? Possibile che mi fossi arresa? Mai è poi mai! Il 13 febbraio scorso, a motivo del fatto che San Valentino cadeva il giorno del Mercoledì delle Ceneri. ho organizzato una serata all’insegna dell’Amore, presso la mia abitazione. Non vi dico quanti giorni prima ho iniziato ad allestire la sala, Aggiungere sedie, spostare poltrone, spolverare il lampadario, lucidare qualche oggetto d’argento che si era un pò scurito. Ho sfoderato una tovaglia pregiatissima, tutta ricamata ad intaglio…e per stirarla mi si è atrofizzato il braccio… insomma, la fine del mondo.

E del buffet non vi dico, chiacchiere di Carnevale, ciambelle, crostate e Baci, baci Perugina a profusione. Non ultimo, ho preparato una squisita sangria servendola in una coppa di cristallo che mi portai in aereo da Berlino 20 ani fa. La fine del Mondo!!!

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La lana sul Cuore

Buongiorno Amici, sembrava una data così lontana, ma è arrivata velocemente, e quasi ci coglie di sorpresa.

Domani 15 Gennaio 2024 si terrà la presentazione dell’ultimo libro di poesie della poetessa Nunzia Piccinni (Versi Di Vento) dal titolo “La Lana Sul Cuore” Gian Carlo Lisi Edizioni,

che avrà luogo nella prestigiosa sede dell’Associazione Artistico Culturale Lino Agnini, di San Giorgio Ionico,

luogo deputato e ambito da artisti, pittori ed estimatori per ospitare le loro creazioni pittoriche e le loro opere letterarie. Si è appena conclusa con successo la 26esima Mostra Concorso del Presepe che ecco un altro evento culturale è alle porte.

Sono grata all’Associazione e al Presidente Cataldo Piccoli per l’ospitalità, al Comune di San Giorgio Ionico per il Patrocinio, al dott. Mino Fabbiano Sindaco, all’Assessore alla Cultura Maria Grazia Tasco, all’autrice Nunzia Piccinni, a Giuseppe Curci per gli intermezzi musicali,

alla prof.ssa Antonietta Rubino, alla poetessa Mina Cipriano per le letture e al pubblico che ci auguriamo sia numeroso e partecipe.

La sottoscritta spera di cavarsela egregiamente, anche questa volta.

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La Lana sul Cuore

RECENSIONE AL LIBRO “La lana sul cuore

DELLA POETESSA NUNZIA PICCINNI (Versi Di Vento) GIAN CARLO LISI EDIZIONI

UN LIBRO E’ UN LUOGO.

Quando si riceve, si acquista o si apre un libro, specie se di poesie, occorre fare molta attenzione, perché non si aprono solo pagine di carta, ma si entra nel vissuto di chi le ha scritte. Si dovrebbe entrare chiedendo “ E’ permesso?”, “Si può?”

Un libro è un Luogo in cui abitano e convivono tre inquilini, tre entità: il Cuore, la Mente e l’Anima.

La mente è un meccanismo complesso e meraviglioso che ci serve per inserirci nell’ambiente, prendere contatto con gli altri, organizzarci per realizzare i nostri obiettivi e progetti. Essa è la sede del Pensiero che distingue l’uomo dalle cose inanimate, dalle piante, dalle rocce, dagli animali che pure sono esseri capaci di intelligenza e istinto e di provare affetto.

Il cuore, oltre alla funzione prettamente fisica di pompa deputata a far scorrere il sangue nelle vene e nelle arterie, rappresenta l’apertura alla comprensione e all’empatia. Ci consente di percepire l’altro, creando un contatto affettivo, di accoglienza e affinità.

L’anima è qualcos’altro, è un’alchimia tutta interiore, è un’entità impalpabile, non fisica, che attiene alla vita soprannaturale. Essa riguarda la spiritualità, il divino. Quell’alito che Dio immise nel nostro primogenitore fece dell’essere umano qualcosa di simile agli angeli.

Il cuore, l’anima e la mente sono in costante relazione tra loro, sempre alla ricerca della felicità. Sono intercambiabili tanto che quando affermiamo e palesiamo un sentimento d’amore diciamo sia “Ti amo con tutto il cuore” che “ti amo con tutta l’anima”.

Nunzia in questa sua elegante pubblicazione ha descritto il suo Cuore come entità fisica bisognevole di cure, attenzioni, manifestazioni affettive. Esse servono al mantenimento dell’esistenza, a dare calore quando questa viene ghermita dal gelo dell’assenza di quelle componenti essenziali che le fanno percepire l’inverno nel cuore. Gli abbracci, l’empatia, il bisogno di relazioni umane e affettive, ma soprattutto essere guardati con occhi d’amore sono esigenze indispensabili per la Nostra Nunzia, per sentire meno freddo, per sentirsi meno sola. Sono la fiamma che arde nel camino in tempo d’inverno. Rappresentano il calore che emana la lana quando indossiamo uno scialle avvolgente come un abbraccio. “La cura migliore è l’amore”, afferma la poetessa .“Alzo gli occhi al cielo e la preghiera guarisce ogni ferita”. Ma quali ferite hanno graffiato la sua anima? Quale gelo l’ha pietrificata? Quale dolore l’ha maturata?

“Avevo fame, non di pane ma di parole, per riempire il vuoto di giorni senza gioia”. “Avevo sete, non di acqua ma di amore, per risanare l’arsura di mesi senza miele”. “Avevo sonno mentre sognavo di dormire su cuscini di carezze.” L’autrice non parla necessariamente di sé, perché il poeta ha la capacità di indossare il dolore del mondo come un cappotto in tempo d’Estate. Porge la sua attenzione “a tutti i malati/ a chi combatte/ a chi resiste / a chi non ce la fa.” La poesia si veste dunque di universalità; si fa grido che squarcia l’omertà; denuncia il potere dei potenti; punta il dito su coloro che affamano i popoli e seminano la morte di bambini innocenti.

“Nunzia Piccinni offre in questo suo ultimo libro preziosi spunti di riflessione che attingono dal suo bagaglio letterario e filosofico ma soprattutto dalle sue esperienze, dalla sua voglia di esplorare e dalla sua innata predisposizione ad entrare in empatia con le persone, offrendo attenzione a chiunque ne abbia bisogno”. Si esprime così nell’esauriente prefazione la sua professoressa di lettere, Gabriella Anodal.

Posso solo aggiungere che le chiuse delle sue poesie sono come l’ultimo colpo dei fuochi d’artificio. Ti colpiscono, ti stendono con occhi di meraviglia e ti lasciano senza fiato. Ho tanto da imparare dalle liriche della mia amica Nunzia. Bisognerà che io sfoltisca, che io poti senza pietà quelle che io chiamo le mie poesie. Bisognerà dare alla parola l’essenzialità della Parola primordiale, senza arrivare alle sgraziate parole del nostro tempo tecnologico. Le sue poesie sono come stilettate che colpiscono il lettore sulle guance del cuore.

Nella sua splendida poesia intitolata “Rondini” l’autrice, in un dialogo incalzante con le rondini, le esorta ad aspettare di tornare quaggiù perché questo tempo non è favorevole alla loro venuta. “ Amate rondini/che ogni anno migrate da un posto all’altro in cerca di calore/aspettate a venire quaggiù, non è ancora il tempo/ care rondini, volate altrove/dirigetevi lì dove il mare mormora tra dolci onde”. E mentre depenniamo ancora un giorno al calendario, ci auguriamo con Nunzia che giunga presto il tempo giusto per ognuno. Il tempo per seminare e il tempo per raccogliere quell’amore che scalda i cuori.

Amare ed essere riamati è la sola “lana” che può scaldare anche i cuori più tristi.

Anna Marinelli

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Ti guardo, ti sorveglio

Non ho mai voluto pubblicare questa mia poesia che risale agli anni 70,

scritta dopo la prematura morte di mia sorella Cosima a soli 42 anni.

Questa poesia però la presentai ad un concorso che si tenne a Taranto

e con mia sorpresa, nonostante la tematica drammatica,

entrò nella rosa dei finalisti e fu inserita in una antologia.

Io cominciavo a fare i miei primi passi in questo sconosciuto mondo…

ma sentivo il bisogno di sottoporre i miei timidi testi alla severa attenzione dei Critici.

Ti guardo, ti sorveglio

Ti guardo, ti sorveglio ti giro intorno

fingendo d’avere mille cose da fare lì nel tuo spazio.

Le mani sul grembo, rugose, sfiorite,

lo sguardo senza più alcun bagliore

sembra che in quella “cosa” non ci sia più un cuore.

Il cuore che un tempo ha gioito, battuto

adesso è lontano, adesso è perduto.

La tua sofferenza non si può misurare,

la morte del figlio è un terribile male.

Un male che consuma il sangue nelle vene

la morte del figlio è un male crudele.

Ti guardo, ti sorveglio, ti giro intorno,

ho scoperto che da tempo guardi con desiderio

la finestra del settimo piano…

mamma, tu non lo sai, ma io sono viva, e … ti amo !

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Carme per Alda


La più grande poetessa italiana del secolo è senza dubbio Alda Merini.
Alda Merini inizia a comporre le prime liriche a quindici anni e il primo, autentico incontro con il mondo letterario avviene l’anno successivo, quando una cugina di Ada Negri, sottopone alcune delle sue poesie a Angelo Romanò che, a sua volta, le fa leggere a Giacinto Spagnoletti, considerato tuttora il primo scopritore della poetessa. Proprio nel ’47 la Merini inizia a frequentare la casa di Spagnoletti, dove conosce, fra gli altri, Giorgio Manganelli che fu un vero maestro di stile per lei, oltre che suo primo grande amore .
Ma il ’47 è anche l’anno in cui si manifestano i primi sintomi di quella che sarà una lunga malattia. Già dai suoi primi componimenti si intuiscono quelli che saranno motivi ricorrenti nella poetica della Merini: l’intreccio di temi erotici e mistici, di luce e di ombra, il tutto attraversato da una concentrazione stilistica notevole, che nell’arco degli anni lascerà spazio a una poesia più immediata, intuitiva. Nel ’53 sposa Ettore Carniti dal quale ha avuto 4 figli. Alla sua morte avvenuta nel 1981 rimasta sola, la Merini inizia un’amicizia a distanza con il poeta tarantino Michele Pierri. L’intesa fra i due si fa sempre più forte, malgrado i trent’anni e la distanza che li separano. Nell’83 dedica al poeta, e alla memoria del padre, la raccolta Rime petrose, le liriche Per Michele Pierri e Le satire della Ripa; nell’Ottobre dello stesso anno i due si sposano e la Merini si trasferisce a Taranto. Pierri — il quale era stato medico prima di dedicarsi interamente alla poesia — si prende cura di lei e nell’85 nascono le liriche della raccolta La gazza ladra. Sempre nello stesso periodo la Merini completa la stesura del suo primo testo in prosa “Diario di una diversa “, nel quale la devastante esperienza dell’internamento viene descritta in una prosa dal forte accento lirico .
Nell’86 fa ritorno a Milano e riprende a frequentare gli amici di un tempo. Destino di questa donna fu, e continua a essere, quello di aver nuotato a lungo controcorrente, quello di aver amato, con passione, con ferocia, con rabbia e riposo. Giorgio Manganelli ebbe a dire di lei “la sua scrittura è impegnata nella ricognizione dell’inferno” Ora c’è persino chi trova in essa le riverberazioni di una poesia “mistica“ a significare quanto cammino abbia compiuto la parola poetica di questa donna singolarissima.

CARME PER ALDA

Come la rosa
così la tua Vita, Alda
si sveste di tutte le passioni
che l’hanno vestita di carne,
resta a noi un tappeto di versi
sul quale deporre un fiore per te
spogliata da ogni affanno,
da ogni pena, ora voli alta
ai confini del mondo
dove ogni follia
si copre d’ innocenza..
vai…cammina su passerelle di nuvole
e bianchi destrieri s’inginocchiano davanti
a te,

Cavalca libera, agita verso di noi
la tua leggera mano
che solo arma di poesia impugnò
e ti rese libera
come aquila che svetta
sui crinali della illimitata fantasia.
Ti chiudo le palpebre con un sorriso,
l’ultimo che posso offrirti,
amica mia, Alda

Anna Marinelli


Come la rosa

così la tua Vita, Alda
si espolia di tutte le passioni
che l’hanno vestita di carne,
resta a noi un tappeto di versi
sul quale deporre un fiore per te
spogliata da ogni affanno,
da ogni pena, ora voli alta
ai confini del mondo
dove ogni follia
si copre d’ innocenza..
vai…cammina su passerelle di nuvole
e bianchi destrieri s’inginocchiano davanti
a te… cavalca libera… agita verso di noi
la tua leggera mano
che solo arma di poesia impugnò
e ti rese libera
come aquila che svetta
sui crinali della illimitata fantasia.
Ti chiudo le palpebre con un sorriso…
l’ultimo che posso offrirti,
amica mia, Alda.


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